C’è una cosa che chiunque cominci a fare fumetti si sente dire da chi li fa già da tempo:
dài un nome ai tuoi personaggi, un passato e un carattere, dato che le storie sono innanzitutto storie di personaggi e maggior credibilità e capacità di suscitare curiosità avranno i tuoi personaggi, maggiore sarà la possibilità di tenere incollato il lettore alla tua storia.E’ una regola che vale anche nel cinema e per chi scrive libri e che ognuno, poi, cerca di declinare secondo le proprie esigenze e istanze espressive.
Personalmente, nella mia brevissima esperienza, sono quasi sempre stato portato ad aspettare il momento in cui battezzare i miei personaggi e trovargli un nome (e magari pure un cognome), preferendo usare sulle prime battute dei nomi di comodo, anche molto convenzionali, e concentrarmi così più su ciò che fossero e su cosa facessero/dovessero fare.
Proprio per questo motivo, dopo, mi è venuto più facile trovargli un nome che me li facesse riconoscere più facilmente, ma senza con questo arrivare all’ultimo limite di giustificare il nome sulla base del ruolo del personaggio stesso.
I nomi che ho scelto in partenza per i protagonisti di Once Were Criminals derivavano dalle mie abitudini di sempre e mi ero affidato come di consueto a delle soluzioni molto semplici e di immediata riconoscibilità. Tanto poi si cambiano, pensavo.
John, Frank, Patrick, Neil, Montez, Maria e Sal (Vincent è arrivato solo molto più tardi e di concerto con Gianfranco) sono nomi facili, nomi che avrete incontrato innumerevoli volte tra fumetti, film, libri e serie televisive e che erano talmente a portata di mano da apparire imperdibili.
Non nego che la pigrizia abbia avuto il suo peso, ma soprattutto perché sentivo molto più importante concentrarmi sul cosa volessi raccontare e sul come, piuttosto che sulla questione dei nomi.
Quando poi con Gianfranco cominciammo a discutere tutte le questioni legate al progetto, a entrambi continuava ad apparire secondario spaccarsi troppo la testa, in quel frangente, su delle questioni che avremmo potuto tranquillamente affrontare in un secondo momento.
Il problema, però, è che più passava il tempo, più procedevamo nel cercare di conoscere meglio possibile quei personaggi di cui avevamo cominciato a narrare le vicende e più quei nomi nati come provvisori si trasformavano in necessari.
Se pensavamo a uno dei personaggi, pensavamo a lui con quel nome e quel nome gli si era cucito addosso impossessandosene e qualsiasi alternativa ci appariva fredda, distante e non attinente.
Un bel paradosso, considerando l’estrema diffusione e rintracciabilità transmediale di nomi tanto immediati, ma tant’è. Anche per questo, ogni volta che abbiamo avuto modo di approfondire ulteriormente insieme a John, Frank e gli altri la loro storia, ci siamo ben guardati dal chiedergli i cognomi (tutti tranne uno, in verità).
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